NELLA notte del 26 giugno nell' orrore della mezzanotte, scrive Ammiano del 363, nella sua tenda imperatoria piantata oltre il Tigri presso un' ignota località della Frigia, l' imperatore Giuliano moriva per la ferita d' una lancia persiana. E' certo che non pensò neppure d' esclamare Hai vinto, Galileo!, come volle contro di lui l' accanita polemica dei cristiani; anzi, è da credere quel che racconta Ammiano, suo fedele ufficiale presente al campo nella fatale notte, che egli trascorresse gli ultimi istanti a conversare sottilmente con i filosofi Massimo e Prisco sulla natura celeste delle anime, nello spirito della sua tardo-neoplatonica religione filosofica. Né dovette, assorto negli estremi doveri d' imperatore, soldato e filosofo, presagire il destino di passare alla storia come l' apostata per definizione. Per lui, i veri apostati, quelli che s' erano distaccati colpevolmente dalla vera religione, e perciò avevano meritato d' esser emarginati e irrisi, erano i cristiani. Quanto a lui stesso, benché allevato nel credo del grande Costantino che aveva posto sui labari il monogramma del Cristo, e quale vescovo delle genti esterne aveva presieduto il primo Concilio ecumenico a Nicea, davvero cristiano non era mai stato. Come scrive Jacques Fontaine, il Cristo, nella misura in cui si cercò d' istruirlo alla sua dottrina, è rimasto per lui un essere più irreale degli eroi di Omero. Personaggio singolarissimo, unico, nella travagliata storia dell' Impero del IV secolo, Giuliano può diventare ora tra noi oggetto di riflessione, curiosa meraviglia e scoperta anche per i non specialisti, grazie a questa eccellente edizione di alcuni suoi scritti fondamentali, data per Mondadori dalla Fondazione Lorenzo Valla: Giuliano Imperatore, Alla Madre degli Dei ed altri discorsi (introduzione di Jacques Fontaine, testo critico di Carlo Prato, traduzione e commento di Arnaldo Marcone, pagg. 351, lire 35.000). Una lettura difficile, in gran parte, specialmente per l' Inno alla Madre degli Dei e il discorso su Helios Re; ma che vale la pena d' intraprendere, se si vuol essere iniziati ad una delle più significative esperienze intellettuali, morali e psicologiche che ci abbia lasciato quel mondo antico che secondo molti, sereni d' ignoranza, non varrebbe più la pena di conoscere. L' immagine dell' uomo e dell' imperatore che ne viene non è completa, poiché Giuliano, non secondariamente, fu un governante e amministratore originale e attento nel fronteggiare la grave crisi militare, sociale e finanziaria del suo tempo (sono sempre da rileggere le dense pagine degli Aspetti sociali del IV secolo di Santo Mazzarino); e tuttavia, un' immagine in sé pienamente significativa. Si potrebbe dire che Giuliano fu un Signore della notte. Il narratore più fedele delle sue imprese e del suo carattere, Ammiano, insiste più volte su tale insolito costume del giovane Cesare, poi Augusto. Passato il giorno nei severi doveri di soldato, capace di pochissimo sonno, Giuliano dedicava la notte al suo lavoro più personale: dapprima provvedeva a studiare e decidere le alte questioni di Stato, poi si dava tutto alle Muse, cioè agli studi poetici, filosofici, storici, religiosi (fu uno dei più veramente dotti del suo tempo), e scriveva, scriveva... Non è sorprendente, così, che egli morisse di notte, dopo aver parlato ai devoti ufficiali e funzionari dei doveri del governo imperiale e discettato con gli amici-maestri intorno al destino delle anime; in quelle poche ore buie, mentre l' emorragia interna compiva il suo lavoro, egli riassumeva il ritmo della sua breve vita (aveva, al momento della morte, circa trentadue anni), tormentata, faticosa e irrequieta. E si pensi alla composizione dei due scritti teologici contenuti (ben tradotti e illustrati) in questa edizione mondadoriana: l' Inno alla Madre degli Dei, scritto in una sola notte tra il 22 e il 25 marzo del 362, e il discorso a Helios Re, il Sole, prodigioso astro divino dissipatore della notte. Ogni religione solare e quella di Giuliano lo era intimamente, e non solo per le sue profonde radici culturali nella tradizione dei culti imperiali e della cultura filosofico-religiosa è esaltazione della vittoria della luce sull' oscurità, del giorno sulla notte, dell' intelligenza sulla tenebra dell' errore. Teologo complicato e contraddittorio, teso a comprendere in un solo valore, quasi con uno sforzo allucinato, l' intero patrimonio spirituale della civiltà greco-romana, dalla classica antichità della Grecia omerica, tragica e platonica, all' ellenismo orientalizzante e mistico; dalla ragione aristotelica e stoica alle arcane esperienze teurgiche del tardo platonismo post-plotiniano, alle tradizioni misteriche, all' ermetismo, agli ammaestramenti esoterici degli Oracoli Caldaici; personalmente dedito ad un' etica del dovere ispirata all' esempio dell' imperatore prediletto, Marco Aurelio, cosa mai avrebbe potuto amare e comprendere Giuliano del cristianesimo del suo tempo? Cosa potevano dirgli quei Galilei, contro i quali tanto già aveva scritto il divino Porfirio (e cui egli stesso dedicò un trattatello violento e sprezzante), sulla Divina Verità, che egli già non credesse di sapere, erede di antichissima e sublime sapienza? E d' altra parte, come poteva egli convincersi che il messaggio del Cristo Gesù avesse migliorato gli uomini: lui, che bambino di sei anni aveva assistito nella casa cristiana del grande Costantino allo sgozzamento del proprio padre e del fratello maggiore, di uno zio e di molti cugini; e poi, salvato a stento dalla madre (perduta dopo pochi mesi) aveva vissuto l' adolescenza e prima giovinezza in una sorta d' esilio studioso, sempre nell' angoscia che un giorno lo raggiungessero i sicari del nuovo Augusto, il cristiano Costanzo, più tardi assassino del suo fratellastro Gallo? La sua traumatica vicenda personale su cui Jacques Fontaine ha scritto bellissime pagine dovette dargli da riflettere amaramente sull' efficacia morale del messaggio cristiano. E certo, l' errore che si rischia sempre di commettere nel valutare la realtà di quei tempi, è di confrontare un paganesimo torbido e degenerato con un cristianesimo idealizzato; ma il cristianesimo era parte della tormentata storia concreta non meno del paganesimo, e le sue espressioni reali, a chi viveva immerso nel presente, potevano ben apparire quali erano, aspramente contraddittorie. Ma il vero dramma di Giuliano non fu d' essere anticristiano in un' epoca in cui il cristianesimo aveva già trionfato (poiché in realtà non aveva ancora del tutto trionfato, e comunque l' idea imperiale di Roma e l' antica cultura pagana erano ancora strettamente intrecciate): fu, invece, di fallire nei suoi rapporti con il paganesimo. La sua personale, dotta e faticosa interpretazione dell' ellenismo filosofico-religioso una lettura dei due scritti teologici compresi in questa edizione ci mette di fronte ad un' esperienza personalissima e gelosamente elitaria non valse per nulla a renderlo interprete attivo e comprensivo del paganesimo ancora vivo nella multiforme realtà dell' Impero, bensì a farlo giudicare dai più e dalle folle come un incomprensibile e insopportabile fanatico. Così, se all' inizio del suo eroico cesarato nelle Gallie una vecchia cieca nell' udire il suo nome profetizzò costui restaurerà i templi degli Dei!, alla fine della sua missione terrena Antiochia, la capitale della cultura e dello stile di vita lassista e tollerante dell' ellenismo, lo ripudiò e schernì. In un impeto di smarrimento e di rabbioso dolore, nacque allora il Misopogon, l' odiatore della barba, una lacerante autodifesa della sua fede filosofica, della sua onestà morale e di governante e della sua solitudine umana. Salito alla contemplazione delle mistiche sfere e dei misteri del cosmo e dell' anima con l' Inno alla Madre degli Dei e con il discorso su Helios Re, Giuliano, disorientato e incompreso, discese a contendere con i sarcastici antiocheni, mettendo a nudo tutte le sue debolezze e il suo orgoglio nevrotico. Scrisse dunque, e pubblicò sulle colonne del tempio questo, che resta uno dei più straordinari ed affascinanti testi del mondo antico, un' indescrivibile sintesi di eloquenza analitica e di candore infantile, di orgoglio intellettuale e morale e di umana, troppo umana meschinità. Pochi mesi dopo, i suoi giovani occhi belli per ardente splendore rivelante l' intima inquietitudine (Ammiano!) erano spenti. C' è da chiedersi se negli ultimi silenzi notturni delle ostili pianure dell' Asia, Giuliano non abbia sentito risuonare dentro di sé, a sé destinata, la sprezzante, laconica parola dell' adorato Marco Aurelio, che ai cristiani aveva rimproverato una sola cosa: il gusto teatrale per la morte. Nel bene e nel male, non era stato egli stesso, come gli odiati Galilei, pateticamente teatrale?
Fonte
Da La Repubblica del 30/06/1987
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In attesa di trovare anche documenti contrari attendibili e fare io uno scritto in merito, vi ho postato questo articolo che molto mi ha affascinato mentre cercavo materiale su questo imperatore, che per me è quasi un modello di vita.
PS tranquilli, non farò alcuna campagna di Persia io...